La logica del rituale nello sport

La logica del rituale nello sport

Ci sono sport nei quali l’utilizzo dei rituali viene di fatto insegnato già in piena fase di apprendimento tecnico.

 

Nel tennis, ad esempio, mi capita spesso di incontrare ragazzi che hanno già sviluppato alcune “abitudini” con le quali sono soliti affrontare certi frangenti di gara: il ricorso all’asciugamano per interrompere un flusso di pensieri negativo è forse quello più gettonato!
Quello che mi chiedo spesso, e che in realtà domando frequentemente ai  ragazzi con cui collaboro, è quanto tali rituali siano dotati di una simbologia soggettiva, ovvero un significato profondamente individuale (oserei dire unico) che distingua il proprio rituale da quello di altri atleti.
Noto con frequenza dalle loro risposte che tali rituali svolgono per loro in realtà più la funzione di scaramanzia che di reale sequenza comportamentale finalizzata a sviluppare stati mentali performanti. Essi vengono pertanto applicati in modo “standardizzato” in quanto quello è ciò che è stato loro insegnato ( o detto..) di fare.
Ma che differenza c’è tra il rituale e la scaramanzia? Beh, diciamo innanzitutto che la scaramanzia proietta una propria aspettativa o “speranza” su un oggetto esterno, facendo perdere all’atleta il vero controllo rispetto alla propria capacità di influenzare gli eventi e le proprie reazioni.
Al contrario, il rituale sportivo è fortemente centrato sulla persona e favorisce, mediante brevi sequenze di pensiero o comportamentali non necessariamente visibili dall’esterno, di stimolare determinate abilità mentali, in primis la concentrazione.
In pratica, il rituale agisce in quanto strumento capace di influenzare direttamente la capacità dell’atleta di fronteggiare certi frangenti di gioco, mentre la scaramanzia lascia al “caso” tale –  in realtà inesistente – potere condizionante.

 

Considerando che la capacità prestativa dell’atleta accresce con l’evolversi della sensazione di padronanza sulle dinamiche situazioni di gara, ritengo che il rituale abbia la necessità di essere breve, simbolico, ben allenato, efficace e che, fondamentalmente, debba rispondere ad un criterio di soggettività.
Tra l’altro non reputo il rituale necessario sempre, bensì utile quando l’atleta sente di averne il bisogno.

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