La manifestazione della fatica e la sua percezione, tuttavia, non sono variabili statiche sempre uguali a se stesse, ma possono evidentemente differenziarsi molto da atleta ad atleta sulla base della propria soggettività.
Alcuni sportivi vivono la fatica sul piano fisico come vero e proprio “dolore” che, se in taluni casi può essere interpretato come segnale di un lavoro fisico “ben compiuto” (es. “sto faticando molto per cui sto lavorando bene“), dall’altro può essere letto come pericolo di un imminente crollo prestativo o di un infortunio (“es. “ho dolore dappertutto, ho paura di stapparmi”), generando reazioni psicologiche in grado innescare stati transitori di ansia.
Quando la fatica in alcuni sport acquisisce le sembianze del dolore, l’interpretazione che l’atleta può darne è, in sintesi, fortemente condizionata da sottoclassi:
► sensoriali (es. il dolore è vibrante, pulsante etc..)
► affettive (es. il dolore che sento è pauroso o prostrante)
► valutative (es. insopportabile)
La variabilità nella valutazione del dolore incide insomma in modo significativo sull’approccio che l’atleta ha nei confronti di quel “muro” che si erge nel momento più difficile di una gara.
Motivo per il quale la consapevolezza della “lettura” che ne dà può fare la differenza nell’impiegare strategie psicologiche utili a fronteggiarlo al meglio.
Così, se un atleta fortemente “razionale” può concepire il dolore come variabile oggettiva da superare, uno sportivo più emotivo può leggerlo come entità da elaborare sul piano affettivo e psicologico, determinando che le strategie utili nel momento più duro di una gara possano anche differenziarsi notevolmente da atleta ad atleta, anche nella stessa disciplina sportiva.
Le caratteristiche di personalità chiaramente incidono pertanto in modo visibile su tali aspetti, richiedendo allo Psicologo dello Sport approfondimenti accurati in grado di orientare l’approccio al dolore ed alla fatica in modo soggettivamente rilevante.
Valutazioni che tra l’altro aiutano anche nel superamento dell’infortunio vero e proprio, che porta l’atleta a dover gestire mentalmente criticità non indifferenti, specialmente in ambito professionistico dove la pressione interna ed esterna può essere tangibile.