Perché monitorare le motivazioni dei bambini nello sport

Perché monitorare le motivazioni dei bambini nello sport

La motivazione, nella pratica di uno sport, è una componente fondamentale.
Pertanto è essenziale valutare al meglio quali siano i desideri, gli obiettivi e la “carica propulsiva” che spinge un bambino o un giovane atleta a fare questo tipo di esperienza.
Il monitoraggio dell’aspetto motivazionale consente infatti ad istruttori e genitori di stimolarlo costantemente ad una partecipazione “attiva” agli allenamenti settimanali.

 

Ma perché un bambino fa sport?

 

In età compresa tra i 6 ed i 12 anni, le motivazioni essenziali sono di natura prevalentemente intrinseca, cioè guidate da aspetti soggettivi e personali di ricerca del divertimento, di partecipazione ad un gruppo, di conoscenza di altri bambini e di sviluppo di competenze sociali e comunicative (ma anche tecniche) basilari. Aspetti che, ben presto, vanno oltre la semplice volontà iniziale dei genitori di introdurlo alla pratica di uno sport.

I bambini insomma, vogliono presto sia divertirsi liberamente, che iniziare a capire come “si fa” a stare in una squadra, a passare la palla, a riceverla e..a tirare a canestro!

Nel processo di crescita, la componente legata al confronto con i coetanei e/o altre squadre diviene progressivamente sempre più rilevante, determinando l’accrescimento di un aspetto importantissimo: l’agonismo.
Con il presentarsi di un quadro competitivo, (e l’innesco di fattori relativi all’identità sociale del giovane atleta) la motivazione generale tende a modificarsi, facendo entrare tra i fattori che spingono alla pratica sportiva anche elementi legati al senso di squadra ed all’incontro con i primi “avversari” (come la vittoria, il successo, l’acquisizione di uno status sociale di rilievo all’interno di un gruppo).

Ingredienti importanti e “necessari” alla crescita personale dei giovani atleti, ma che non devono tuttavia sostituire la motivazione intrinseca, bensì completarla.

La tendenza a creare eccessivi presupposti di motivazioni esterne alla pratica sportiva (premi, trofei) tende infatti talvolta a far trascurare la cura dei fattori personali (intrinseci), facilitando un calo a lungo termine del desiderio personale di praticare sport e, spesso, la difficoltà ad elaborare al meglio la sconfitta e le prime piccole frustrazioni che ne derivano.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che “giocare” significa anche scaricare in campo le tensioni e la stanchezza causate dai ritmi scolastici o familiari, favorendo il benessere fisico e mentale.

Anche i bambini, infatti, sono soggetti a stress! E scaricarlo al meglio, svagandosi, può rappresentare un elemento di partecipazione importantissima.

Il compito dell’istruttore in questa fase di “transizione motivazionale” (che si manifesta in prevalenza nel passaggio dal gioco a quello della competizione) è quindi, tra gli altri, quella di monitorare e riequilibrare ove necessario il peso delle motivazioni individuali.
Un processo che può essere realizzato attraverso un iter valutativo periodico (ad esempio con l’ausilio di questionari) per ciascun gruppo di ragazzi che pratica uno sport e che può servire allo staff ed alla società nel loro complesso, per verificare come e se sia necessario stimolare e proteggere la motivazione soggettiva di ciascun giovane, ad esempio laddove la scelta di uno sport sia conseguente all’abbandono (voluto o forzato) di un altro e manchi quindi una “preferenza” di base importante.
Naturalmente è necessario che in questo processo di monitoraggio i genitori siano partecipativi e collaborativi, segnalando eventuali indizi di demotivazione agli istruttori.

 

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