L’atleta sotto pressione: fattori di stress interni o esterni?

L’atleta sotto pressione 

La principale fonte di stress per un atleta, da un punto di vista psicologico, è costituito in primis dalla cosiddetta pressione competitiva, ovvero dalla risultante della continua ricerca di migliorarsi nel tempo, di acquisire nuove competenze ma soprattutto dall’inevitabile necessità di confrontarsi con altri “attori competitivi”.

Quando sentiamo parlare di stress, normalmente immaginiamo un individuo che, nella sua quotidianità, viene tempestato e bombardato da una serie di eventi esterni che attivano in lui una risposta di difesa la quale, a lungo andare, perde di intensità ed efficacia, rendendolo sempre più stanco e svuotato di energie psichiche sufficientemente funzionali.

Tuttavia dobbiamo tener presente che tale tipologia di situazione spiega soltanto la metà delle possibili fonti di stress, in quanto oltre a fattori esterni, gran peso hanno nella psiche di una persona anche i cosiddetti “stressors interni”, cioè elementi che non provengono dal contesto ma che originano dalla stessa personalità ed atteggiamento individuale.
La competizione è senza dubbio un aspetto particolarmente importante da questo punto di vista in quanto, se da un lato esiste un contesto esterno che ne stimola l’emersione, dall’altro è anche vero che la valutazione individuale che ne viene fatta, varia notevolmente in funzione della soggettività del singolo atleta.
Per cui, a fronte di una gara interna tra ragazzi che ricoprono il medesimo ruolo, o tra atleti di discipline individuali che però competono tra di loro in un team,  possono esistere tranquillamente due reazioni di adattamento molto diverse: quella del fronteggiamento (coping) e quella della fuga.
La prima si riferisce ad una reazione per la quale l’atleta trasforma in energia positiva lo stress conseguente alla competizione, rendendosi proattivamente partecipe al confronto ed imparando a gestire lo stress in modo propositivo. La seconda, al contrario, lo conduce a mal sopportare la continua “gara” interna, rendendosi mentalmente fragile e passivo dinanzi al perdurare della competizione medesima.
L’atleta che reagisce alla competizione con un adattamento positivo, trasforma la tensione in un vissuto ed in stati emotivi funzionali all’adattamento, mentre chi vive i momenti di confronto come stressors esterni a cui reagire in modo difensivo, spesso soccombe alla fatica, determinando attivazioni fisiologiche mal controllate (ad esempio a causa del respiro affannoso), controlli emotivi non opportunamente regolati e pertanto livelli di benessere psicofisico ridotti al minimo.
In questi casi, oltre ad una rivalutazione cognitiva del significato della pressione competitiva, è utile per lo sportivo convogliare gli sforzi su attività in grado di aumentare il livello di energia mentale, ad esempio attraverso esercizi di respirazione e sedute di rilassamento, o attraverso interi programmi di mental training.

Dr Fabio Ciuffini
Psicologo a Prato, Altopascio e zone limitrofe (Lucca, Montecatini). 
Consulenza Psicologica per adulti. 
Psicologia dello Sport e del Lavoro 

Albo Psicologi Regione Toscana n°4521 
Tel. 320-0298136

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