Calcio: Quando il gruppo diventa “Pigro”. L’importanza di essere identificabili

Un gruppo numeroso induce un fenomeno noto in Psicologia come Pigrizia sociale. In questo pezzo analizziamo uno dei fattori più noti: la strategia dell’allocazione.

Come ben noto, la tendenza degli allenatori di calcio è quella di prediligere gruppi sufficientemente numerosi per affrontare le varie competizioni.
L’equazione per la quale l’abbondanza nella possibilità di scelta è sinonimo di maggiore possibilità di vittoria, non è infatti corretta alla luce di alcune considerazioni che andremo di seguito a sviluppare.

Se è vero che un gruppo ampio consente una migliore gestione delle energie psicofisiche distribuendo in modo tendenzialmente più omogeneo i minutaggi e le pressioni, è altrettanto noto che la gestione tecnica di squadre con 25-30 o più atleti impone senza dubbio la necessità per un tecnico di essere supportato da uno staff molto importante, e di essere pertanto capace di gestire bene gli aspetti organizzativi e relazionali di una squadra ampia.

C’è infatti una componente nota alla psicologia sociale e conosciuta come “pigrizia sociale“, che potrebbe rivelarsi molto significativa nello spiegare la convenienza di gruppi ben “ottimizzati” da un punto di vista numerico.

La pigrizia sociale è la tendenza da parte degli individui a diminuire la propria prestazione quando si trovano in gruppo.

Esistono 4 fattori in grado di determinare tale fenomeno: uno di tipo allocativo (in gruppo si è meno identificabili), uno di tipo strategico (in gruppo si cerca di risparmiare energia senza tuttavia passare per pigri), un terzo di tipo deduttivo (definizione dell’autore) ossia il Free-rider, ed infine un quarto di natura consequenziale alla deduttiva (idem), noto come Effetto Sucker.
In questa sede vogliamo soffermarci sul primo di essi, ovvero il Fattore Allocativo descritto da Harkins, Latané e Williams (1980).
In successivi contributi, invece, ci soffermeremo, uno per volta, sugli altri.

Quando gli atleti sono in gruppo, sanno perfettamente che la propria performance ed anche il proprio atteggiamento e comportamento sul campo sono meno identificabili rispetto ad una situazione in cui essi siano chiamati individualmente ad agire.

Il collettivo infatti “maschera” la rilevanza individuale della prestazione, il che spiega, ad esempio, per quale motivo in altri sport come il nuoto o l’atletica, il rendimento di un atleta in una staffetta sia generalmente minore rispetto a quello individuale.

Per restare nel calcio, comprendiamo bene perché chi tira un calcio di rigore vive stati di ansia molto più intensi che non durante una normale azione di gioco. Aumentando infatti la rilevanza individuale della prestazione, cresce in modo sensibile l’attivazione psicofisiologica, determinando, qualora essa sia ben gestita, anche un miglioramento della reattività, dell’attenzione e del livello prestativo atteso.

Se è vero che un gruppo troppo piccolo (sottodimensionato) è più soggetto a stress e stanchezza (con un calo della prestazione derivante da continui impegni in cui i pochi atleti sono chiamati in causa continuamente), è altrettanto vero che gruppi sovradimensionati, ossia con troppi calciatori, fa aumentare il senso di estraneità dei singoli atleti a causa della creazione di sottogruppi o di troppi giocatori per ruolo, il che rende poco individuabile il contributo del singolo atleta.

Portandolo, di conseguenza, a stati di ipoattivazione non funzionali ad un buon rendimento sul campo.

Difficile dire quale sia il numero ideale di componenti di una squadra.

Tuttavia è possibile sostenere che l’effetto allocativo è chiaramente meno presente quando il gruppo è composto da un numero di calciatori tale da rendere distinguibile il loro contributo nell’economia collettiva e quando lo staff tecnico è in grado di rendere tangibile (agli occhi dello stesso atleta) il proprio contributo nel collettivo.

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